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La sussistenza e l’alimentazione

Agricoltura, allevamento e caccia nel Neolitico

Le particolari condizioni di umidità hanno permesso la conservazione anche di altri resti, meno appariscenti, ma non per questo meno importanti, i semi di cereali consumati dalle popolazioni neolitiche del villaggio.

Si coltivavano contemporaneamente diversi cereali: l’orzo, il farro, il frumento tenero o quello duro e il farro piccolo, un frumento ormai quasi completamente dimenticato.

Forse venivano coltivati anche il miglio e il panìco, ma i frammenti conservati sono dubbi e potrebbero appartenere a specie infestanti molto simili a quelle coltivate. L’orzo sembra il cereale più importante nella dieta vegetale. La coltivazione di diversi cereali combinati o alternati tra loro era una intelligente strategia di sopravvivenza, tipica della preistoria, che assicurava almeno un raccolto nel corso dell’anno e sufficienti derrate alimentari anche in condizioni sfavorevoli. Di certo venivano coltivati anche i legumi, ma di essi le informazioni sono ancora troppo scarse.
Vi sono inoltre due specie di piante oleaginose di grande importanza: il papavero da oppio e il lino. Scarsa è la documentazione relativa al primo, mentre è rilevante quella riguardante il secondo. La coltivazione del papavero è comune durante il Neolitico, perché i suoi impieghi possono essere diversi: come alimento, olio commestibile e narcotizzante. Allo stesso modo, anche il lino può essere utilizzato in modo variegato nell’alimentazione, nella tessitura e in medicina. Di questa specie sono stati raccolti numerosissimi semi e frammenti delle capsule, indicatori della prima fase di lavorazione, in una zona circoscritta degli scavi che proverebbero l’esistenza di un’area adibita alla preparazione del lino per la tessitura.
Alla dieta vegetale bisogna aggiungere anche l’apporto dei frutti raccolti direttamente nel bosco come nocciole e ghiande, mele e pere, corniole e fragole, more, ciliege, uva e perfino i fichi. Le ossa di animali presenti nei siti archeologici sono un’altra importante fonte di informazioni sul tipo di economia praticata da una comunità. Lo studio delle ossa rinvenute al Palù rivela una prevalenza dei caprovini (capre e pecore) sui bovini e suini tra gli animali domestici e una forte incidenza del cervo tra i selvatici, seguito dal cinghiale e capriolo.
Una simile composizione indica che l’apporto degli animali selvatici costituisse un rilevante contributo alimentare nella dieta e nell’economia del villaggio neolitico. Pochi resti appartengono anche al gatto selvatico, alla volpe e al tasso. Una forte incidenza dei caprovini suggerisce un’economia di tipo pastorale e, forse, la pratica della transumanza o, meglio, dell’alpeggio tra l’area pedemontana e la media montagna soprastante il bacino di Palù confermata dalla tradizione delle malghe presenti nei territori montani circostanti. Tuttavia, la presenza anche di bovini e suini domestici ben si adatta al tipo di ambiente naturale ricco di vegetazione arborea. Inoltre, la presenza, sia pure esigua, di resti di lontra, tartaruga palustre e germano reale si accorda con un ambiente molto umido, con acque stagnanti, in vicinanza di boschi dove cervi, caprioli e cinghiali potevano trovare nutrimento e riparo.

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